Intelligenza artificiale e lavoro: cosa cambierà?
Lo abbiamo chiesto a Filippo Poletti, giornalista professionista e top voice di LinkedIn, autore del libro “Smart Leadership Canvas: come guidare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale con il cuore e il cervello”
L’intelligenza artificiale ha bisogno del cuore e del cervello umano: è la prospettiva con cui affrontare l’impresa 5.0, quella nella quale l’intelligenza delle persone collabora con le reti generative. È questa la teoria di Filippo Poletti, giornalista professionista e top voice di LinkedIn, e di Alberto Ferraris, professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso il Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino, autori del libro “Smart Leadership Canvas: come guidare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale con il cuore e il cervello”. Presentando le nuove teorie manageriali e le esperienze di 20 grandi leader italiani, il libro indica come guidare la fase due dello sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Come guidare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale: intervista a Filippo Poletti
Abbiamo intervistato Filippo Poletti, Top voice di LinkedIn che dal 2017 cura sulla piattaforma una rubrica quotidiana dedicata al lavoro, per approfondire in che modo l’IA stia cambiando l’approccio al mondo del lavoro e quali saranno le future implicazioni di questa rivoluzione digitale per le aziende.
In che modo l'intelligenza artificiale sta modificando il mondo del lavoro?
Da una parte dotando il mondo del lavoro di “superpoteri” e, dall’altra, riducendo l’attuale debito digitale in capo ai lavoratori. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale porterà in Italia, a parità di ore di lavoro, a una maggiore produttività, stimata nell’ordine del 70 per cento, pari a un incremento del PIL del 18 per cento: parliamo di 310 miliardi di euro, quasi il PIL della Lombardia, pari a un quinto di quello italiano.
Pensiamo ad ambiti strategici come quelli delle telecomunicazioni, della finanza, della sicurezza, della medicina e di tanti altri ancora. Focalizzandoci sui lavoratori, l’intelligenza artificiale permetterà loro di risparmiare tante ore utilizzate oggi in attività ripetitive, riducendo il cosiddetto “debito digitale”, che ci vede ad esempio ricevere fino a 250 e-mail al giorno e quasi 150 chat su Teams.
Volendo semplificare e usando un’espressione cara ai milanesi, l’intelligenza artificiale taglierà parte dello “sbatti” del lavoro, ossia le attività di poco valore aggiunto, riservando alle persone quelle ad alto valore, le più nobili: vale, ad esempio, per l’ambito delle relazioni con i clienti o “customer care”, nel quale WINDTRE ha fatto un grande passo in avanti, impiegando la tecnologia non già per tagliare posti di lavoro, ma per restituire ai professionisti la loro centralità.
Chi e in che modo in azienda può filtrare questa rivoluzione digitale?
In almeno tre direzioni. La prima è quella della collaborazione. Le aziende devono dire no alla competizione tra uomini e macchine, e sì alla collaborazione. L’intelligenza artificiale è una chiave inglese straordinaria, ma non è una persona.
La seconda direzione è la valorizzazione delle persone in azienda e non la loro svalutazione. Il celebre test di Alan Turing, inventato nel dopoguerra, valutava se l’intelligenza artificiale era superiore a quella umana: le aziende, oggi, devono testare di avere a cuore i collaboratori.
La terza e ultima direzione è dire no alla visione tattica e sì a quella strategica, ossia a quella a medio e lungo termine sull’intelligenza artificiale. Gli investimenti devono essere fatti pensando al futuro e non all’oggi.
Come cambia la leadership aziendale con l'avvento dell'IA?
Il leader di oggi deve saper progettare il processo di trasformazione in atto, sviluppare all’interno dell’azienda nuove competenze, promuovere una cultura organizzativa che utilizzi al meglio l’intelligenza artificiale e, soprattutto, individuare quali attività dovranno essere svolte dagli esseri umani e quali dalle macchine, attribuendo all’intelligenza il ruolo di co-pilota e alle persone quello di “piloti” della rivoluzione in atto.
Il vero leader ai tempi dell’intelligenza artificiale deve avere “cuore e cervello”, il primo per prendersi cura delle persone, il secondo per raggiungere gli obiettivi di business, promuovendo un impatto positivo sulla società.
Tutto questo in un contesto lavorativo in cui, entro i prossimi 5 anni, il 50 per cento delle decisioni manageriali sarà preso in collaborazione con l’intelligenza artificiale e nel quale, come dice bene Great Place to Work misurando l’indice di fiducia, sarà necessario presentare grande attenzione al legame tra manager e collaboratori. La vera leadership, per semplificare, deve essere “trasformativa”, trasformando positivamente il mondo del lavoro.
Le aziende italiane oggi sono attrezzate per sfruttare le opportunità di sviluppo legate all'IA? Quali sono le attuali barriere che incontrano?
Le principali barriere sono quelle economiche e culturali. I dati di Anitec-Assinform, presieduta da Marco Gay, ci dicono che il 6 per cento delle aziende italiane con almeno 10 dipendenti ha adottato l’intelligenza artificiale con netta prevalenza delle grandi (24 per cento). Ricordiamoci che l’Italia è fatta di piccole aziende con meno di 10 dipendenti, che rappresentano il 95 per cento delle imprese, occupando il 43 per cento della forza lavoro.
È sulle piccole aziende, oltre che su quelle medie e grandi, che occorre puntare l’attenzione a livello di Paese, affinché non si creino aziende di “serie AI” e aziende di serie B. In merito alle barriere culturali credo che occorra fare oggi una SWOT analisi completa, individuando assieme ai punti di debolezza quelli di forza. Tutto questo, fino ad oggi, non è avvenuto.
Pensiamo alla discussione intorno all’“AI Act”, il regolamento europeo, tutto basato sui livelli di rischio. La domanda da porsi è questa: quali sono, oltre ai rischi, le opportunità dell’intelligenza artificiale? Le risposte serviranno per passare dall’“effetto wow” all’“act-how”. Dobbiamo passare, per citare il titolo di un celebre film di qualche anno fa, “dall’età delle mele” o dello stupore per l’intelligenza artificiale all’“età dell’azione responsabile”.
Quali sono le prospettive future? Nasceranno nuove professionalità? Quelle attuali rischiano di venire completamente sostituite dall'IA?
L’IA-cene riguarda tutti o quasi tutti i professionisti. Grazie all’adozione dell’intelligenza artificiale nasceranno l’“IA-venditore”, l’“IA-consulente”, l’“IA-commercialista”, l’“IA-costruttore”, l’“IA-agricoltore” o l’“IA-medico”. Allo stesso tempo, l’intelligenza artificiale deve far rima con AD, ossia con l’age diversity, coinvolgendo cioè i lavoratori di tutte le età. L’IA-cene o epoca dell’intelligenza artificiale deve essere inclusiva.
Circa i rischi sulla tenuta dei posti di lavoro, il rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (l’agenzia delle Nazioni Uniti) ha sottolineato come nei Paesi più ricchi il 5,5 per cento dell’occupazione è potenzialmente esposto al pericolo dell’automatizzazione di alcune mansioni. Calcolando che in Italia ci sono 23 milioni di lavoratori, 1,2 milioni potranno subire un impatto negativo a causa di questa rivoluzione, con particolare riguardo all’occupazione femminile attiva nell’ambito impiegatizio.
Il tema della disoccupazione tecnologica non nasce, tuttavia, oggi con l’intelligenza artificiale. Le lezioni di economisti come John Keynes insegnano che il cambiamento tecnologico causa la perdita di lavoro nel breve termine, compensata dalla creazione di nuovi posti di lavoro nel lungo termine. Così accadrà anche con l’intelligenza artificiale, riducendo i posti di lavori con mansioni ripetitive e trasformando la natura di molti lavori.
Del resto, come ha spiegato l’economista David Autor del MIT, il 60 per cento dei lavoratori di oggi fanno mestieri che non esistevano nel 1940. Per questa ragione, come sottolinea il vicepresidente di Confindustria Maurizio Stirpe nel mio libro “Smart Leadership Canvas”, servono politiche di lavoro attive, affinché nessuno sia lasciato indietro.