Zelig, da Vergassola a Bertolino: "Se chiude luogo mitico noi orfani"
Roma, 24 mar. (Adnkronos) - La fine di un'epoca: da Enrico Bertolino a Dario Vergassola, sentiti dalla AdnKronos, la paventata chiusura dello storico locale milanese 'Zelig', tempio del cabaret e della satira, viene giudicata come una autentica iattura, da fare il possibile per scongiurare. "Un luogo mitico, di cui ci sentiremmo tutti orfani. E dopo la morte di Maurizio Costanzo, la chiusura dello Zelig mi farebbe sentire orfano di padre e di madre... Una notizia che mi farebbe davvero male", esclama Dario Vergassola.
"Ricordo ancora la mia prima serata, dopo il provino, quando era ancora poco più di un bar. Ero appassionato di cabaret, da attore come da spettatore: a notte fonda, per non dire all'alba, ripartivo da Milano per tornare alla Spezia a lavorare come operaio", ricorda Vergassola.
"Mi chiedo come si siano potuti accumulare tanti debiti gestendo un marchio così importante, riconoscibile e riconosciuto, richiamato anche in tv dall'omonimo show di grande successo. Non conosco le dinamiche interne ma spero proprio che anche questa volta si trovi rimedio, come in passato quando tanti di noi si autotassarono acquisendo delle quote. Speriamo che ora si tratti di un falso allarme", auspica l'attore.
Sottolinea Vergassola: "Il cabaret moderno è nato lì, con un pubblico meraviglioso, molto colto: altrove era inevitabilmente diverso. Lì ci si andava indipendentemente dal richiamo di un singolo artista comico, era quasi un hobby andare allo Zelig magari anche solo per criticare chi si era esibito. Tutti animanti dal sacro fuoco del cazzeggio".
Un tipo di comicità strettamente milanese o comunque di 'stampo nordico'... "La differenza con i comici romani o napoletani è che non si usava la parlata dialettale, mentre loro erano più riconoscibili - risponde Dario Vergassola - Ma fondamentalmente eravamo tutti accomunati dalla narrazione della quotidianità della vita e dallo smontaggio dei luoghi comuni per fare ironia, più o meno raffinata, proponendo anche tanta satira; poi, si è un po' tutto anestetizzato".
Però, assicura Vergassola, "il genere 'cabaret' non è ancora morto, anche se ora va di moda chiamarlo 'stand up' che non vuol dire niente... Ma è la stessa cosa. L'unica differenza fra chi fa cabaret e chi fa stand up, come si usa dire con una battuta fra vecchi cabarettisti, è che quello che fa stand up lo riconosci perché non fa ridere... Forse la tv, se da un lato ha regalato successo, fama e in qualche caso anche soldi agli artisti da cabaret, per altro verso ne ha cominciato a segnare anche il declino".
Per Enrico Bertolino, la chiusura dello Zelig sarebbe "una bruttissima notizia, che segna il finale di un'epoca: Milano ha già visto chiudere il 'Derby' e la chiusura dello 'Zelig' sarebbe davvero una perdita enorme. Anche se sento dire che c'è il tentativo di rianimare una situazione che pare al collasso, con una gestione di sei mesi in autonomia, con voci che vedono anche l'intervento di Mediaset che avrebbe preso il marchio già ora presente nel suo palinsesto tv", riferisce.
"La chiusura sarebbe un vero peccato, perché questo è proprio il momento in cui servirebbe di più la presenza forte della satira, politica e di costume. Ma in un Paese che non ha più un'opposizione, è normale che sparisca anche il cabaret, che è opposizione al potere, a qualunque potere di qualsiasi colore", sottolinea.
"Sono tuttora un socio in liquidazione con una minima quota rilevata da un attore in difficoltà: ma l'ho fatto con amore e mi sentivo onorato di appartenere alla famiglia di Zelig: e quando una famiglia finisce in tribunale è una cosa bruttissima...", commenta Bertolino.
Un marchio, quello di Zelig, "diventato famoso e garanzia di comicità di qualità. E' brutto vedere che si toglie un palco in più per la realizzazione dei sogni di tanti ragazzi. Noi abbiamo avuto la fortuna di averlo: per la mia carriera è stato un autentico colpo di fortuna, arrivato a 37 anni e dunque in età molto avanzata per un comico. Arrivare allo Zelig era come per un cantante essere ammesso alla Scala o per un aspirante ingegnere al Mit di Boston", osserva Enrico Bertolino.
Ricorda ancora l'attore: "Sono passate figure storiche dallo Zelig, che si sono proposte a un pubblico competente. Esibirsi allo Zelig, dove arrivavano da ogni parte d'Italia, era come proporsi all'Accademia del Comico. Una dimensione che non si può riprodurre a tavolino".
Eppure, sottolinea Bertolino, "questo sarebbe proprio il tempo giusto per far ripartire il genere 'cabaret': c'è bisogno di gente che racconti storie, non di battutisti da Twitter o TikTok; c'è bisogno di parlare alla gente, per metterla in condizione di ragionare, di riflettere, lasciandole anche un retrogusto amaro e irriverente all'uscita dal teatro".
(di Enzo Bonaiuto)