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Spettacolo Popolizio: "Ronconi riferimento prezioso ma scomodo, non riesco a liberarmene"

Popolizio: "Ronconi riferimento prezioso ma scomodo, non riesco a liberarmene"

Roma, 7 mar. (Adnkronos) - "Luca Ronconi è una figura che mi accompagna sempre, perché qualunque cosa faccio mi chiedo sempre lui che ne penserebbe: un punto di riferimento prezioso, ma più che altro scomodo, perché è un giudice troppo alto, elevato, di cui forse farei meglio a liberarmi ma di cui non riesco proprio a fare a meno". E' quanto 'confessa' alla AdnKronos l'attore e regista Massimo Popolizio - dalla prossima settimana al teatro Argentina di Roma con 'Uno sguardo dal ponte' di Arthur Miller - ricordando la figura di Luca Ronconi, a 90 anni dalla sua nascita.

"Ronconi ha rappresentato una grande parte professionale e anche emotiva della mia carriera teatrale, potremmo dire 'umana' anche se può appare assurdo che io e lui non siamo mai andati a cena insieme... - racconta Popolizio - Ci siamo incontrati e incrociati condividendo sempre e solo il palcoscenico, ma attraverso di esso passavano ovviamente anche altri valori: la conoscenza di sé, la crescita, la maturazione. Nell'arco di tutti quegli anni ho attraversato diversi stadi 'ronconiani' e non ho visto un solo Ronconi ma tanti diversi Ronconi, dalla mia gioventù fino alla sua malattia".

La definizione di attore 'ronconiano' è una limitazione, un onore, un riconoscimento, un dispregiativo? "E' stata una sferzata di cattiveria che ci siamo portati appresso per tanto tempo - replica Popolizio - Attore 'ronconiano' andrebbe detto a troppi, a centinaia di artisti che hanno lavorato con lui e per lui, dai più grandi ai più piccoli. Ronconi è stato un padre per noi, ma abbiamo avuto anche tanti zii, da Umberto Orsini a Mariangela Melato, da Valeria Morricone a Corrado Pani... Ho preso anche da loro. E' vero che quel che impari da Maestri come Ronconi, grandissimo genio, è che il teatro si fa sempre insieme, mai da soli: questo è il suo più grande insegnamento".

Ronconi "aveva delle 'fissazioni' sceniche soprattutto spaziali, relative alla divisione dello spazio teatrale sul palcoscenico: è sempre stata una sua esasperazione, riportata in quasi tutti gli spettacoli", sottolinea Popolizio. Basti pensare alla scena memorabile di 'Quer pasticciaccio brutto de via Merulana' in cui la facciata del palazzo letteralmente crolla, inquadrando gli attori in piedi nei singoli spazi delle finestre aperte. "Esatto: e una scena simile oggi non te la farebbe mai fare, improponibile per le norme sulla sicurezza...". Poi, "è divertente anche osservare ciò che Luca non è riuscito a fare, progetti che, magari per l'eccessivo impegno finanziario che richiedevano, sono rimasti purtroppo sulla carta e non hanno visto la luce sul palcoscenico".

Meno incisivo il Ronconi attore, come quei calciatori non eccelsi che poi diventano grandissimi allenatori... "Ronconi racconta che lui era bravissimo a dare indicazioni 'da attore' agli attori; lui non ti diceva come dovevi recitare una parte ma te la recitava lui, ti faceva la parte. Ma lui stesso diceva che era bravissimo nell'indicare la parte all'attore ma se avesse dovuto sostituire quell'attore in quella commedia non sarebbe stato altrettanto bravo a stare in scena tutte le sere".

Uno spettacolo di Ronconi cui Popolizio non ha partecipato ma che gli sarebbe piaciuto fare? "Forse l'Orlando Furioso, per la forza e il dinamismo di quella compagnia teatrale - risponde - Meravigliose anche alcune sue regie liriche, penso alla meravigliosa 'Cenerentola' di Rossini a Pesaro, con motori che alzavano una enorme scenografia: allora quella messinscena cambiò la stessa visione di un'opera lirica; oggi non sarebbe più possibile riproporla".

Ora Massimo Popolizio, dopo il grande successo di 'M - Il figlio del secolo', dal romanzo di Antonio Scurati sulla parabola di Benito Mussolini, torna in scena al teatro Argentina di Roma per la terza volta in questa stagione, dal 14 marzo al 23 aprile, con la regia e l'interpretazione di 'Uno sguardo dal ponte', dramma di Arthur Miller datato 1955, che in Italia fu messo in scena per la prima volta nel 1958 da Luchino Visconti, protagonisti Paolo Stoppa e Rina Morelli, che vanta fra le altre anche una edizione con Michele Placido e Guia Ielo, mentre nel 1962 fu girato il film diretto da Sidney Lumet con Raf Vallone.

La vicenda attraversa i temi della immigrazione clandestina, della caccia allo straniero, della povertà, dell'incesto, della passione amorosa, ambientata in una comunità di immigrati siciliani a Brooklyn e ispirata dalla realtà di un fatto di cronaca. Il destino ineluttabile, da cui si può essere vinti e annientati, guida la trama dell’azione teatrale, impostata come un lungo flash-back con il protagonista Eddie Carbone che entra in scena quando tutto il pubblico già sa che è morto.

"Una grande storia raccontata come un film, ma a teatro - spiega Massimo Popolizio nelle sue note di regia - Come scrive lo stesso Miller, l'azione della pièce consiste nell’orrore di una passione che nonostante sia contraria all’interesse dell’individuo che ne è dominato, nonostante ogni genere di avvertimento ch’egli riceve e nonostante ch’essa distrugga i suoi principi morali, continua ad ammantare il suo potere su di lui fino a distruggerlo. Questo concetto di ineluttabilità del destino e di passioni dalle quali si può essere vinti e annientati è una spinta o necessità che penso possa avere ancora oggi un forte impatto teatrale".

(di Enzo Bonaiuto)

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