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Lavoro Ecco 5 competenze umane per lavorare con l’intelligenza artificiale

Ecco 5 competenze umane per lavorare con l’intelligenza artificiale

Roma, 5 set. (Labitalia) - Robotica industriale e gestione automatizzata dei magazzini, manutenzione predittiva, business intelligence, office automation, assistenti virtuali, voice e chat bot: l'intelligenza artificiale è sempre più presente in vari ambiti e funzioni aziendali, oltre che nella vita quotidiana. Secondo il World economic forum (wef), l’integrazione delle tecnologie (tra cui l’AI) porterà il 23% dei posti di lavoro a cambiare entro il 2027 con 69 milioni di nuovi posti creati e 83 milioni eliminati [1], ma stando ai dati Salesforce, solo 1 italiano su 10 (13%) afferma di possedere competenze in materie di intelligenza artificiale e di utilizzarle nel proprio ruolo attuale.

In questo scenario, come possono le imprese affrontare le sfide che attendono la loro workforce? “È fondamentale comprendere che se l’intelligenza è artificiale, le skill per farla funzionare al meglio restano e resteranno quelle umane, ovvero le cosiddette competenze trasversali o soft, che oggi sono fondamentali e solide quanto quelle tecniche/hard, seppur da implementare in una nuova ottica. Al momento solo il 20% dei progetti formativi che stiamo realizzando riguarda tali competenze utili anche per lavorare con l’AI; siamo pertanto impegnati per diffondere una maggiore sensibilità e consapevolezza sul tema", commenta Irene Vecchione, amministratore delegato di Tack TMI Italy (Gi Group Holding).

"Lo scenario è sicuramente complesso, ma il primo passo è trovare un equilibrio tra il fattore umano e l’intelligenza artificiale. L’ibridazione sarà, infatti, la via sostenibile, sia per le aziende, che dovranno essere in grado di formare le proprie persone per gestire al meglio le potenzialità dell’AI, compresa quella generativa, sia per il singolo lavoratore che dovrà rafforzare queste skill ancora di più rispetto al passato per essere allineato alle innovazioni aziendali e alle richieste del mercato", spiega.

In un contesto in cui, in Italia, secondo Microsoft, per il 74% dei manager i dipendenti avranno bisogno di nuove skill per essere pronti alla crescita dell’intelligenza artificiale, Tack TMI Italy, branch italiana della società di Gi Group Holding che si occupa di learning&development, segnala le cinque competenze umane più strategiche già adesso per le imprese e che saranno fondamentali per interagire con le tecnologie di AI in implementazione nei diversi processi aziendali: Pensiero critico, ovvero la capacità di analizzare, filtrare e valutare le informazioni fornite dall'AI, comprenderne le limitazioni e soprattutto essere in grado di identificarne le possibili implicazioni etiche e sociali; creatività, una competenza fondamentale per interagire efficacemente con l'AI.

Pensare in modo creativo può aiutare a superare i limiti dell'AI, come la mancanza di comprensione del contesto, di generazione di nuove idee e di identificazione di soluzioni innovative a problemi complessi; intelligenza emotiva, come capacità di comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri, sviluppare relazioni interpersonali positive e gestire situazioni di potenziale conflitto in modo costruttivo. Per quanto possa essere evoluta l’intelligenza artificiale non possiederà mai una competenza simile e paragonabile, anzi, il rischio è che nel tentativo di trasferire una skill analoga a un bot, si generino soluzioni o risposte standardizzate poco utili alla persona.

E ancora collaborazione, intesa come l’abilità di lavorare “in team” con l'intelligenza artificiale, utilizzando le sue funzioni per migliorare l'efficienza e la produttività del lavoro di squadra; adattabilità, come la capacità di allinearsi rapidamente alle nuove tecnologie e ai nuovi strumenti basati sull'intelligenza artificiale, sviluppando nuove competenze e utilizzandola in modo efficiente. “È importante comprendere che queste skill possono aiutare le persone non solo a lavorare efficacemente con l’AI, migliorando ad esempio la capacità di interpretazione dei dati - conclude Vecchione - ma anche a rispondere alle richieste delle aziende impegnate a creare ambienti di lavoro positivi e produttivi”.

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