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World Emoji Day, le emoji più usate e virali

Ripassiamo la storia delle emoji, dalla nascita ad oggi, con la spiegazione di aneddoti sulle più iconiche e virali

Il 17 luglio si celebra in tutto il mondo il World Emoji Day, una giornata dedicata a quei piccoli simboli – ora anche animati – che caratterizzano la comunicazione nell’era digitale, monopolizzando le nostre chat, i commenti sui social network e i contenuti video. Nate e diffuse con lo sviluppo della tecnologia e delle piattaforme digitali, sono ormai parte integrante del nostro modo di esprimerci, consentendo alla comunicazione verbale online – e quindi a distanza – di aggiungere enfasi ed esprimere emozioni. Ma come sono nate e quanto spazio occupano nella nostra comunicazione? Conosciamo davvero il loro significato? 

La storia delle Emoji: dalle origini al loro uso quotidiano e inclusivo

La Giornata mondiale delle emoji è stata istituita nel 2014 da Jeremy Burge, fondatore di Emojipedia – sito di raccolta di tutti questi simboli iconici – per celebrare le faccine e il loro ruolo che hanno nel sintetizzare le emozioni e gli stati d’animo, promuovendo così una comunicazione più semplice e immediata

Tuttavia, l’origine di questi simboli risale ad alcuni anni prima. Nel 1999 Shigetaka Kurita, un impiegato dell’azienda giapponese NTT DoCoMO, ha creato 176 emoji ispirate ai manga giapponesi, ai segnali stradali e ai caratteri cinesi – ora parte di una collezione permanente al Museum of Modern Art di New York. L’obiettivo di Kurita era quello di inventare un modo accattivante per trasmettere le informazioni in modo immediato e conciso. Di conseguenza, anche l’origine del nome è giapponese: il termine deriva infatti dall’unione della parola “e” – immagine – e “moji” – lettera, carattere.

Un’ulteriore spinta al loro utilizzo e riconoscimento è avvenuta poi pochi anni dopo quando, nel 2009, una coppia di ingegneri Apple, Yasuo Kida e Peter Edberg, presentarono una proposta ufficiale per adottare 625 nuovi caratteri emoji nello standard Unicode – un gruppo senza scopo di lucro che lavora per mantenere gli standard di testo sui computer. Unicode ha accettato la proposta l’anno successivo e la vera diffusione di questi segni è avvenuta poi con l’inserimento della tastiera emoji nei sistemi iOS e Android

Con il passare del tempo, anche questa tipologia di linguaggio ha iniziato a subire delle variazioni, facendo nascere diverse sfumature in grado di renderlo più espressivo ma anche più inclusivo. Ed è per questo motivo che si è arricchito sempre di più introducendo variazioni di pigmentazione della pelle o tratti e oggetti tipici delle singole culture.

World Emoji Day: le più utilizzate dagli italiani e le mal interpretate

Un monitoraggio condotto da Meta ha riscontrato che quelle di maggior successo nel nostro Pease sono legate al mondo food e sport. In ambito sportivo, gli italiani preferiscono, in ordine, il pallone da calcio, da basket, da pallavolo, la persona che solleva pesi e la persona che nuota. Ma per gli italiani amanti della cucina e della bella vita, si posizionano prime in classifica anche le emoji di cibi e bevande, come la torta di compleanno, i calici alzati e la bottiglia di spumante

A fronte di una maggiore capacità espressiva, c’è però un problema legato alle emoji: capita che il loro significato possa essere frainteso, causandone un uso erroneo. Quali sono, quindi, le emoji che utilizziamo di più, ma di cui spesso ignoriamo il senso? Come sono nate? La faccina che si scioglie, ad esempio, è stata inventata per indicare sia il caldo che l’imbarazzo. La direttrice creativa di Google, Jennifer Daniel, e Neil Cohn, presidente del sottocomitato Emoji dell'Unicode Consortium, hanno spinto per la sua introduzione nel 2019, al fine di replicare la “paperification” dei manga, vale a dire quando, per l’imbarazzo, le persone vorrebbero trasformarsi in piccoli pezzi di carta e volare via. Ma questa faccina non è l’unica ad essere fraintesa: quella senza bocca, ad esempio, non esprime confusione o angoscia, ma semplicemente silenzio. Così come quella con la gocciolina che esce dal naso: non dovrebbe essere usata per indicare il raffreddore, ma – secondo la cultura giapponese – per esprimere sonnolenza e stanchezza

A conclusione, ecco quella più attesa per anni: il gesto per eccellenza degli italiani, quella mano chiusa girata verso l’alto utilizzata per dare enfasi alla comunicazione anche di persona. Spesso intesa come un “Che cosa vuoi?”, “Ma che stai dicendo?”, in realtà fa anche riferimento allo “chef’s kiss”, il bacio dello chef che indica qualcosa di buono da mangiare.

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